Amore e guerra

Come si sente oggi?” mi domanda l’infermiera sistemando il carrello colmo di medicinali accanto al letto.

Distolgo lo sguardo dalla finestra e fisso la donna cercando di abbozzare un sorriso.

Vedrà che le ferite si rimargineranno bene” inizia armeggiando con maestria tra i flaconi e le cannule “È fortunata ad essere sopravvissuta con quello che le è capitato. Inoltre è stata portata qui da noi, in questo bell’ospedale dove sarà curata al meglio”.

Fortunata” penso sospirando con gli occhi lucidi e mentre l’infermiera continua a parlare non seguo più i suoi discorsi, il mio sguardo si perde nel rosso del tramonto, che con prepotenza si fa largo nel cielo.

Il colore vermiglio che brucia all’orizzonte mi porta inesorabilmente indietro, a quelle sere non troppo lontane, dove lo stesso bagliore era provocato dalle bombe gettate sul mio paese.

In Siria, come in Iraq, in Turchia si cresce velocemente e non si ha il tempo di gioire per la bellezza della fanciullezza, poiché questa viene rubata dalla guerra.

Così anch’io malgrado ancora ragazza, avevo compreso presto il significato della parola, dolore.

Il mio villaggio era stato raso al suolo e con la mia famiglia eravamo scappati cercando riparo tra le macerie della grande città anch’essa, distrutta, Aleppo. Mio padre sperava di trovare aiuti perlomeno dagli eserciti dei paesi stranieri.

La vista dei cadaveri sventrati gettati da ogni parte non era più una novità, ma la regola. Non si aveva il tempo di seppellire i morti.

Ogni tanto si scorgevano bambini piccolissimi giocare vicino a bombe inesplose, tra le rovine che invadevano le strade.

Giungere fino a qui era stata la forza della disperazione, quella che arriva quando hai perso tutto e non hai più nulla se non forse ancora una briciola di speranza.

Insieme ad altre famiglie avevamo trovato riparo all’interno di un edificio enorme o meglio ciò che ne restava, solo lo scheletro di cemento. Vivevamo sotto terra e dormivamo sul pavimento, tutti senza cibo e senza acqua.

Quella dell’acqua era una lotta a parte, tanto era divenuta preziosa. Erano rimaste infatti pochissime fontanelle in tutta la regione da cui si poteva andarla a prendere. Col favore del buio i più giovani erano mandati a raccoglierne il più possibile, ma bisognava stare attenti ai cecchini appostati a sorvegliarle.

Fu in una di quelle notti che lo incontrati, in quel silenzio interrotto dagli spari i nostri destini s’incrociarono e quel giovane straniero entrò prepotentemente nella mia vita, salvandola.

Raggomitolata come un gattino impaurito sotto il suo corpo, lo sentii sparare a ripetizione mentre altri proiettili arrivavano verso di noi, andando a vuoto. L’azione era accaduta in una frazione di secondi, ma nel mio cuore parve durare un’eternità. Quella scena aveva illuminato a giorno il lembo di terra dove ci trovavamo e subito dopo nuovamente buio e un silenzio irreale cadde su ogni cosa. Il cecchino era stato colpito a morte dal giovane militare.

Alzandosi mi disse qualcosa che non compresi poiché non conoscevo la sua lingua, ma i suoi occhi erano buoni.

Tentennante e piena di paura, stringevo a me il bidone con l’acqua non sapendo se mi era consentito muovermi e tornare dalla mia famiglia. Guardavo incuriosita quello straniero che continuava a parlarmi, ma non capivo le sue parole. Alla fine fece un cenno con la mano e allora, lentamente, indietreggiai. Feci qualche passo sospettosa e mi voltai fermandomi. Fu in quel momento che il militare con il braccio mi indicò la strada ed io, corsi via.

Non so per quale motivo ma non raccontai l’episodio, forse per non spaventare nessuno.

Ogni volta però che c’era da andare a prendere l’acqua, mi offrivo volontaria. Le tenebre non mi spaventavano più, poiché in un angolino dentro di me pensavo a quel giovane, al suo gesto e mi sentivo sicura e protetta.

Forse ero solo una ragazzina sciocca che voleva vivere un sogno, dentro un mondo da incubo.

Puntualmente lo trovavo lì, che presidiava quel rubinetto ed era diventato il mio angelo custode.

Ben, io lo chiamavo così poiché non riuscivo a pronunciare il suo nome. Era un giovane militare statunitense di pochi anni più grande di me, con due occhi blu che facevano invidia al cielo.

I nostri sguardi, quelle mezze frasi in lingue diverse, piccoli gesti e attenzioni tra di noi, erano tutto ciò che avevamo, ma in quella circostanza era tanto. Un bocciolo che con tutta la forza che possiede spacca il cemento per poter crescere e aprirsi, questo era il sentimento che cominciammo a provare.

Puro come l’alba del mattino appena sferzata dalla calda brezza del deserto, era l’affetto o meglio l’amore che i nostri cuori nutrivano l’uno per l’altra. E cresceva giorno dopo giorno.

Pareva assurdo tra quell’orrore, corpi martoriati, sangue, rovine, bombe trovare due ragazzi che sognavano, che desideravano stare assieme. Diversi per razza e religione non c’importava, a noi interessava sapere che c’eravamo incontrati forse grazie al fato e volevamo restare uniti a qualsiasi costo.

Ben mi scortava fino al nascondiglio portando addirittura lui l’acqua per me e fu così che una volta, mia madre lo vide.

Fui costretta a raccontare di noi, della nostra storia ancora innocente ma forte più di quell’assurda guerra.

Non va bene” disse “Porterà solo guai”.

È un bravo ragazzo” le risposi “Siamo innamorati”.

Lei scosse il capo ripetendo “Non va bene!”.

Era pomeriggio inoltrato quando cominciarono a piovere bombe sulla città. La tregua non era stata mantenuta e in fretta pallottole fischiarono sulla teste delle persone che si trovavano per strada.

La gente spaventata cominciò a correre, a scappare, a nascondersi come poteva ed io, ero una di loro.

Ad un certo punto mi sentii tirare per un braccio, era Ben.

Stai dietro di me e seguimi” riuscii a capire.

Lui imbracciava il suo fucile e rispondendo al fuoco, riuscimmo ad attraversare alcune strade per metterci al riparo.

Mi fece cenno con la mano di sistemarmi dietro ad alcune rovine, quando un sibilo passò accanto a noi. In quel momento Ben si gettò sopra di me, dopo quell’istante, i miei ricordi sono confusi.

Un boato, una nuvola di fumo e polvere e poi il buio totale.

Il nome di quel giovane militare è stato scritto su tutti i giornali, ma nessuno lo ricorderà come un vero grande eroe. Nessuno ha mai saputo infatti tutta la verità e cioè che Ben mi ha salvato la vita, facendomi scudo col suo corpo.

Le mie ferite seppur gravi si rimargineranno, ma non quelle del cuore che è morto laggiù assieme a lui, il mio grande, innocente amore.

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(Racconto finalista del Premio Letterario Parlami d’amore anno 2014)

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